di Sara Innamorati e Alessandro Lambrilli
Foto di Mila Jonis
Largo Venue è un ex-capannone industriale del Pigneto, recuperato e trasformato in uno spazio culturale con una vasta programmazione di dj set, concerti, performance e stand-up; lo spazio tiene anche l’organizzazione pomeridiana di talk, letture e proiezioni. Le performance e, in particolare, i drag show di Largo Venue sono diventati negli ultimi tre anni tra le realtà della scena queer più importanti e significative del panorama romano. Il locale nasce nel 2018 e incomincia fin da subito a proporre drag show con Karma B, per esempio, un duo di drag queen protagoniste della scena queer italiana. Un anno dopo nasce l'ormai celebre serata del venerdì sera Latte Fresco, il format queer del locale. Il direttore artistico Paco ci racconta che “l’idea era quella di creare una sorta di contenitore che raccogliesse tutti i vari tipi di serate dedicate alla comunità lgbtqia+”. E di fatto, passare il venerdì sera a Largo Venue significa essere immersi nella queer culture, con stand up, cabaret, cinema e per finire con un drag show, riempiendo settimana dopo settimana le sale del locale con un pubblico divertito ed esplosivo, immerso in musiche iconiche e performance travolgenti. Sul palco di Largo ci sono anche molti emergenti, ed è proprio questo lo spirito della direzione artistica, come aggiunge Paco: “ci sono tanti artisti giovani che hanno iniziato proprio con Latte Fresco, ragazze e ragazzi venuti a ballare con il desiderio di volersi esibire sul palco, e adesso sono nostri performer. Stanno crescendo con noi e li stiamo formando”. L’inclusività -anche dei messaggi portati sul palco- nasce da qui.
«Ci sono tanti artisti giovani che hanno iniziato proprio con Latte Fresco, ragazze e ragazzi venuti a ballare con il desiderio di volersi esibire sul palco, e adesso sono nostri performer. Stanno crescendo con noi e li stiamo formando»
A Latte Fresco, tra gli artisti abituali, ritorna spesso una delle drag queen ormai più popolari del panorama italiano: Cristina Prenestina. Un successo nazionale con inviti ai festival culturali, in cattedra e su riviste come Vanity Fair. Cristina nasce, come ci rivela lei stessa “quasi per volontà divina, perché io non ho mai avuto la passione per la drag, non mi piacevano, anzi le guardavo quasi con malocchio”. Il tutto cambia quando, uno dei suoi migliori amici romani appassionato di drag lascia, per sbaglio, un paio di tacchi a casa sua: “una mattina io mi sveglio e mi ritrovo questo 43 tacco 12 in salotto che mi guardava. Provo a infilarmi queste scarpe ma dopo aver fatto due passi mi rendo conto della difficoltà estrema di camminare senza assomigliare a un T-Rex. Da quel momento nasce un’ammirazione per il mio amico. La sua vicinanza mi aveva molto tranquillizzato su questi temi”. Dopodiché arriva una offerta di lavoro in cui, dopo anni di teatro, gli viene chiesto di fare uno spettacolo in stile drag: “decido di farlo a patto di poter avere con me sul palco il mio amico e da lì nascono Cristina Prenestina e Rene Coppedè: rappresentavano due allegorie di Roma, una più borghese e una più popolare”. Dopo il trasferimento del suo amico, Cristina Prenestina comincia la sua carriera da solista: “Non pensavo sarebbe durato più di poche settimane, eppure nel momento in cui comincio a vedere come il pubblico guardava e ascoltava, realizzo della potenza del mio personaggio e in generale dei drag shows. Da lì decido di canalizzare questa attenzione con situazioni più politiche, di attivismo.” Nel 2018 Cristina incontra Paco, il direttore artistico e nasce la collaborazione con Latte Fresco. La sensibilizzazione ai temi politici e civici continua a emergere anche in quegli spettacoli, il suo modo di fare drag ormai è delineato e di fatto diverso da tutto il contesto romano. Negli altri spettacoli di drag ci si concentra sulla performance delle ballerine e dei ballerini. A Largo, invece, “dietro ogni spettacolo c’è sempre un messaggio politico. Mi rendo conto che in discoteca stiamo facendo qualcosa di leggero, di allegro e nessuno vuole appesantirsi con discorsi impegnati. Allo stesso tempo lasciare un punto di riflessione sempre può essere un buono stimolo ed è il nostro compito e obiettivo".
«Cristina Prenestina e Rene Coppedè rappresentavano due allegorie di Roma, una più borghese e una più popolare. Non pensavo sarebbe durato più di poche settimane, eppure nel momento in cui comincio a vedere come il pubblico guardava e ascoltava, realizzo la potenza del mio personaggio e in generale dei drag shows»
Tra gli elementi che accomunano le voci delle protagoniste della scena queer romana e del suo linguaggio artistico ce n’è uno in particolare a cui sembra non si possa rinunciare: la performance, sia essa un drag show, un karaoke, un dj set o un concerto — o più semplicemente un mix di tutto ciò — è allo stesso tempo un messaggio politico di libertà ed emancipazione dirompente, con la forza di innescare una riflessione in primis nelle persone partecipanti agli eventi. Una forma di performance che tuttavia non coincide con la performatività, ma che cerca di decostruire e semantizzare in maniera differente il tempo della festa e della vita notturna, tradizionalmente appannaggio della cultura machista. È lo stesso Paco, direttore artistico della serata di Latte Fresco, appuntamento fisso del venerdì sera di Largo Venue, a porre l’accento sulla questione: «chi partecipa agli eventi sa che il tema sociale è fondamentale, perché noi facciamo una serata che si rivolge alla comunità lgbtqia+, per giunta in un contesto, come quello italiano, in cui tante battaglie devono essere ancora vinte».
«Una forma di performance che non coincide con la performatività, ma che cerca di decostruire e semantizzare in maniera differente il tempo della festa e della vita notturna, tradizionalmente appannaggio della cultura machista. »
Non mancano riferimenti al passato, specie nelle eclettiche playlists dei djs, in cui convivono accanto al pop di Raffaella Carrà la disco music di Donna Summer o il pop di Madonna e Britney Spears, l’house music, per arrivare fino alla più recente pc music, al wonky, alla techno e — meriterebbe un posto a parte — all’hyperpop. Proprio quest’ultimo, infatti, genere musicale relativamente recente, con il suo tessuto internazionale di produttori e artisti, come Charlie xcx e Sophie, e una scena italiana abbastanza ricca (Troyamaki, christiannife, per fare dei nomi), è il miglior veicolo dell’estetica queer, con il suo linguaggio provocatorio, a tratti satirico, anche giocoso, e le improvvise sterzate verso i 140 bpm, che fanno di questi brani un materiale prezioso per le playlists delle serate lgbtqia+.
Fare il dj in una serata queer non è la stessa cosa che farlo in una serata qualunque: oltre alla necessità di trasferire un messaggio la natura dello spettacolo impone una certa dinamica e un costante dialogo con il pubblico e con il resto degli addetti ai lavori. Di questo lavoro di squadra ci parla Eric, “architetto di giorno e dj di notte” come si definisce, attualmente alla console durante le serate di Latte Fresco: «Di base ho una mia selezione, che si accresce nel tempo grazie a un continuo ascolto di musica più e meno recente, spesso grazie ai consigli di chi prepara con me lo spettacolo: sono molto contento quando mi consigliano nuova musica da ascoltare. È fondamentale per me anche imparare da altri djs. Faccio uno schema grossolano, una playlist, ma poi osservo come la gente reagisce per far sì che si diverta: è fondamentale dare dinamica all’esibizione».
C’è un altro aspetto che finora è stato escluso dal discorso ma che interessa da vicino la comunità lgbtqia+ nella sua espressione artistico-musicale: la questione delle icone. Il termine icona non è affatto pacifico, porta con sé un germe di alienazione, una tendenza a proiettarsi fuori di sé; viceversa, il ruolo politico dell’icona può essere quello di spingere verso un’identificazione comunitaria, verso un sentirsi comunità. La sopravvivenza di icone genuine, inconsapevoli del passato, come la già citata Raffaella Carrà (la cantante preferita di Eric, immancabile nei suoi sets), spiega che la tendenza odierna è piuttosto quella dell’auto-candidatura. Ma un’icona, come ci ricorda Cristina Prenestina, «non si auto-candida ad essere tale», semplicemente lo diventa. E a questo punto gli esempi sarebbero innumerevoli, da Madonna a Lady Gaga a Diana Ross; a fare comunque da padrona è la disco music, il genere musicale in cui, a detta di Francesco, il drag show, almeno in un primo momento, prima dell’avvento dell’house music, ha trovato il terreno più fertile.
«ll termine icona non è affatto pacifico, porta con sé un germe di alienazione, una tendenza a proiettarsi fuori di sé; viceversa, il ruolo politico dell’icona può essere quello di spingere verso un’identificazione comunitaria, verso un sentirsi comunità.»
Negli ultimissimi anni, in Italia, il riconoscimento della comunità lgbtqia+ e dei suoi linguaggi artistici e musicali ha subito una netta accelerazione. Sintomo di questa svolta è stato anche l’arrivo di una serie cult per la comunità queer, in onda negli Stati Uniti dal 2009, Ru Paul Drag Race. Il reality show americano condotto da Ru Paul, personaggio chiave del mondo drag americano, già approdato in Italia al fianco di Elton John a Sanremo ’94, si innesta sulle regole della cosiddetta ball culture, una sorta di contest di danza nata nel quartiere newyorkese di Harlem sul finire degli anni ’60 presso la comunità lgbtqia+. La forma del contest, il linguaggio coreutico, la performance finiscono quindi per essere gli elementi sotterranei di continuità che conducono dalle prime esperienze newyorkesi fino alla realtà italiana (e romana) attuale.